DOMENICO PERRONE: FUCILATO A SOLI 23 ANNI DAI NAZIFASCISTI IN FUGAIl partigiano santagatese morì a San Giorgio di Nogaro nel 1945 di Redazione |
Dal racconto di suo fratello Michele Perrone. “Domenico, nato a Sant'Agata di Puglia il 18 settembre 1922 da Pasquale Perrone e da Francesca Di Miscio, dopo le elementari va a bottega da Luigi Ruberto per imparare il mestiere di sarto. Dopo qualche anno di apprendistato, emigra a Genova [...] Nel 1941 venne chiamato alla leva presso il 3° Centro Autieri di Savona. Dopo il corso venne trasferito al Bivio Aurisina, dove si preparavano i rincalzi da inviare in Russia [...] ma, mancando alla partenza, lo avevano trasferito a un altro reparto, a Cervignano del Friuli. [...] La guerra contro gli alleati, inglesi e americani, terminò l'8 settembre di quello stesso anno. L'esercito italiano, ormai nel caos più assoluto, si sciolse. E l'Italia restò divisa: la parte meridionale, all'altezza di Cassino, occupata dagli americani e la parte settentrionale dai tedeschi. In queste condizioni iniziò il periodo più brutto per la storia italiana. A quel tempo le comunicazioni erano pressoché inesistenti e noi tutti speravamo che Domenico avesse raggiunto Genova, dov'era ancora lo zio Antonio e qualche amicizia. Invece non fu così. Domenico, come ho accennato, pur se risoluto nei suoi intenti, era gracile di salute. Rimase a Cervignano, ospite protetto di una famiglia del posto. Per vivere faceva il sarto e, alla meno peggio, continuo a pensare, riusciva a sbarcare il lunario. Doveva però evitare il pericolo che lo sorprendessero i tedeschi e i fascisti che dopo l'8 settembre si erano ricostituiti sotto la Repubblica di Salò. Nello stesso periodo, in contrapposizione alla Repubbluca di Salò si erano formate squadre volontarie di partigiani che si prefiggevano di liberare il territorio italiano dai tedeschi e di combattere i soprusi dei fascisti. Molto lentamente, gli americani avanzavano. Il 25 aprile 1945 occuparono Milano. Tutti pensammo che fosse tutto finito, invece non fu così. Infatti, mentre si era in attesa di sapere notizie di Domenico [...] venimmo a sapere che era successo qualcosa di terribile e così ci recammo dalla sarta che l'aveva accolto in casa e l'accudì, per quanto potè, per tutto il tempo, fino al 28 aprile 1945. Era di sabato, ci racconto la signora. La guerra era finita e i tedeschi se ne andavano. Verso mezzogiorno Domenico era rientrato dalla campagna, dove il più delle volte si nascondeva. Era felice perché finalmente era tutto finito. Contrariamente all'invito della signora, che lo pregava di fermarsi a mangiare qualcosa, impaziente di raggiungere gli amici che l'aspettavano in piazza, aveva preso un pezzo di pane ed era uscito. Sulla strada, dopo pochi metri, una pattuglia di tedeschi lo aveva arrestato e portato via, verso Palmanova. Così ci disse la signora, anche lei in pena: fino al momento del nostro arrivo non sapeva che fine avesse fatto Domenico. Successivamente, con una corriera, andammo a San Giorgio di Nogaro. Un vigile ci accompagnò al cimitero e, dal custode, apprendemmo la triste verità. L'uomo ci accompagnò sulla tomba, dove mamma potette finalmente sfogarsi a piangere. Poi ci accompagnò dietro al muro del cimitero dove, ci disse, aveva raccolto i resti di Domenico. Mio fratello aveva la faccia rivolta a terra. La calotta del cranio distante dal corpo tre o quattro metri. E fra il corpo e la calotta, la massa cerebrale. Lo avevano ammazzato barbaramente, con un ultimo colpo alla nuca”. |